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Si informa che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 11/2020, ha affermato che la causa di incompatibilità “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato”, di cui alla lettera c) del comma 1 della L. n. 362/1991, non è riferibile ai soci, di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione o direzione della farmacia.

In particolare, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’eventuale incompatibilità della titolarità di un rapporto di pubblico impiego, nel caso specifico docenza universitaria, con la partecipazione alla compagine di una società di capitali titolare di farmacia, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale della norma citata, nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, titolari di farmacia, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della stessa legge, come modificato dalla L. n. 124/2017, sia incompatibile con “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”. Come è noto, la L. 124/2017 ha modificato l’art. 7, comma 1, della L. n. 362/1991, includendo le società di capitali tra i soggetti che possono assumere la titolarità dell’esercizio di farmacie private.

Per il Collegio rimettente, la norma così denunciata, nell’estendere la causa di incompatibilità in questione non solo alle persone fisiche e ai soci di società di persone che siano titolari e gestori di farmacie private, ma anche ai soci di società di capitali che acquisiscano tali farmacie senza rivestirne compiti di gestione o di direzione, violerebbe gli artt. 2, 3, 4, 35, 41, 47, 11 e 117 della Costituzione.

In primo luogo, la Corte Costituzionale, dichiarando non fondata, per erroneità della interpretazione della norma denunciata, la questione di legittimità costituzionale sollevata, ha messo in evidenza che l’art. 8 della suddetta legge attribuisce l’incompatibilità “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato” esclusivamente al soggetto che gestisca la farmacia.

A ben vedere, la stessa rubrica della norma espressamente collega “gestione” e “incompatibilità”. Un’altra conferma di tale interpretazione è da rinvenire nel sistema delle sanzioni (art. 8, comma 3, L. n. 362/1991) previste: “sanzioni interdittive, per loro natura applicabili solo al socio che risulti fattivamente coinvolto nella gestione della farmacia”.

Ulteriore dimostrazione, inoltre, si trova nella disciplina delle ipotesi di subentro degli eredi o di vendita (art. 7, commi 9 e 10 della citata L. n. 362/1991, richiamati dall’art. 8 cit.), nelle quali l’obbligo di cessione, entro sei mesi, della quota acquisita dall’erede del socio o dall’acquirente della società è previsto per il solo caso in cui l’avente causa incorra nelle incompatibilità correlate a «qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché [al]l’esercizio della professione medica» (art. 7, comma 2, della suddetta legge), “mentre nessun rilievo ostativo alla permanenza nella società riveste l’eventuale titolarità di un rapporto di lavoro, pubblico o privato, da parte dell’erede del socio defunto o dell’acquirente della farmacia, che non partecipi alla gestione della stessa”.

I Giudici, peraltro, hanno chiarito che non sussistono dubbi circa l’applicabilità dell’incompatibilità in oggetto anche ai partecipanti alle società di capitali, incluse oggi tra i soggetti che possono assumere la titolarità dell’esercizio di farmacie private. Quello su cui la Corte pone, invece, l’attenzione è il ruolo gestorio ricoperto dal socio nella compagine sociale.

Pertanto, per la Corte, la specifica incompatibilità di cui si discute è riferibile “al partecipante a società esercente farmacie private, solo se e in quanto risulti “compatibile” con il ruolo da questi rivestito nella società stessa”. L’incompatibilità sussisterebbe, quindi, soltanto nei confronti del soggetto che rivesta tale ruolo gestorio nella compagine sociale.

Sotto il piano sistematico, inoltre, i Giudici hanno sottolineato che tale interpretazione è confermata dall’attuale quadro normativo, modificato, dalla più volte citata, L. n. 124/2017, alla quale si collega la previsione che consente la partecipazione alle società titolari dell’esercizio di farmacie private anche a soggetti non iscritti all’albo dei farmacisti e non in possesso dei requisiti di idoneità. La qualità di farmacista è piuttosto richiesta per la sola direzione della farmacia: direzione che può, peraltro, essere rimessa anche ad un soggetto che non sia socio.

Essendo, dunque, consentita, “nell’attuale nuovo assetto normativo, la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, né in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, è conseguente che a tali soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali), non sia pertanto più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991”.

Cordiali saluti.

 

Il Presidente

Sen. Dr. Luigi D’Ambrosio Lettieri